Ilcorpodigrazia's Blog


Vivere una favola: Io Donna Vera per Donna Moderna

Mi sveglio nel torpore mattutino, giusto una frazione di secondo per tornare cosciente e sgrano gli occhi, il cuore sussulta. Sono nel mio letto, a casa. Vedo il mio armadio stile japan, la luce rossastra che penetra dalle persiane bordeaux della finestra alla mia sinistra. Tutto estremamente familiare ma allora… Sarà stato tutto solo un sogno?

Istintivamente porto le mani ai capelli, e lo sento, lo chignon è lì. Corro in bagno e mi guardo allo specchio: l’acconciatura è ancora perfetta, testimonianza inequivocabile che qualcosa è accaduto veramente.

Fa freddo e sono influenzata, torno in letto, mi copro con il piumone ancora caldo del mio corpo, chiudo gli occhi, ed eccomi lì, meno di 48 ore prima, in ufficio…

Ero appena tornata dalla pausa caffè del mattino, sulla scrivania ad attendermi  un Accordo intercompany da correggere, quando squilla il mio cellulare personale. Vedo il numero, inizia con 02, è Milano, ed il mio cuore sobbalza. Potrebbe essere la telefonata che aspetto da mesi ? Sono talmente emozionata che mi scivola il dito e sulle prime non riesco a rispondere, maledetto iphone.

Pronto?

Francesca? Buon giorno, sono Miriam….. – Oh mio Dio sì! sì! sì!  – … capisco che il preavviso sia minimo, ma mi si è liberato un posto domani perché una ragazza non può più venire, e visto che ti avevamo scelta e tu sei di Genova, non so, per caso, potresti mica tu….

A 31 anni compiuti ho avuto modo di imparare alcune regole fondamentali della vita, tra le quali, una è certamente la seguente: quando il treno passa, bisogna prenderlo, al volo.

Corro dal mio capo, chiedo ferie, richiamo: “ok, ci sono, posso venire” . Un paio di telefonate e sul mio cellulare ho memorizzati due messaggi con le prenotazioni dell’hotel e dell’intercity, per quel pomeriggio stesso.

Alle 16.30 volo dall’ufficio alla macchina, passo da casa, butto nel trolley a casaccio shampoo, balsamo, crema depilatoria, kit unghie, jeans e camicia, dimentico l’intimo che comprerò in Centrale e, alle 18.15 in punto, wafer al cioccolato e bottiglietta d’acqua alla mano, sono in partenza dal binario 18 di Genova Piazza Principe, in direzione di un sogno.

Come può essere meravigliosamente imprevedibile la vita? Arrivo in hotel che è sera tardi, sono stanca, stanchissima ma sono anche talmente eccitata che faccio fatica ad addormentarmi.

L’indomani mattina, quando suona la sveglia, non voglio ammettere di essere desta già da parecchi minuti. Così inizia per davvero la mia favola: una giornata da diva. Scendo nel salone per la colazione e mi vedo nei volti degli uomini d’affare che, giacca e cravatta, parlano già concitati mentre mangiano. “Devi correggere il memo in questo punto… prima di iniziare la riunione è meglio che io…. Questo argomento non lo toccherei a meno che loro non chiedano…” Come li capisco, e quanto non li invidio! Io che di solito sono una di quelle persone, al tavolo con i miei capi o i miei colleghi, taillour e tacchi, già con la mente in riunione, in conferenza, in stand ed invece, oggi… Oggi sono sola, in jeans e struccata, oggi non ho pensieri, non ho riunioni. Oggi sono solo io, una ragazza, una “Donna Vera” che verrà trasformata da professionisti, da veri e propri artisti, in una modella, una diva per un giorno.

La location del mio servizio è un meraviglioso hotel 5 stelle nel centro di Milano, e il tema è “trench chic”. Sei cambi d’abito, con tanto di abbinamenti scarpa, borsa e bijoux, per un colpo d’occhio davvero strabiliante.

La make up artist è giovane e simpatica, tra creme, fard, mascara e attrezzi mai visti prima in vita mia, chiacchieriamo, ascolto lei e lo stylist che ricordano un servizio piuttosto che un altro, il tempo scorre via veloce mentre di là, la fotografa ed il suo aiuto, montano le luci per i diversi set.

Ultimi tocchi di colore su zigomi e naso ed eccomi pronta per indossare il primo abito, vado in bagno e mentre infilo emozionata il completino blu, scorgo la mia figura nello specchio. Mi scappa un gridolino: “Oh mio Dio”. Dall’altra parte della porta Alemka e Bruno preoccupati: “Che succede, tutto bene?”.  Spunto dalla porta scorrevole ancora incredula. “Alemka, tu sei un genio, sono bellissima!”

Bruno ridacchia, Alemka mi guarda compiaciuta e così inizia lo shooting vero e proprio. Nei panni della modella sto subito comoda, sorrido, ammicco, faccio la parte della vera diva, per diamine ho un giorno intero per poterla interpretare e non mi faccio certo sfuggire l’occasione!

Entro subito in empatia con Sevim, la fotografa. Lei è un’artista incredibile, riesce a essere rigorosa e precisa ed al contempo mi suggerisce e mi mette a mio agio. Il suo obbiettivo diventa la mia amica con cui confidarmi, divertirmi, il mio uomo da sedurre, ammaliare, confondere. La location aiuta a rendere questa favola concreta, sembra quasi più il set di un film, ora mi sento nella Parigi degli anni 30, ora mi sento Haudry Hepburn dentro il film “Vacanze Romane”, ora invece sono Grace Kelly e mi sporgo  dalla ringhiera per vedere se spunta il mio principe.

A metà mattinata un attimo di tensione, vedo una donna avvicinarsi a passo sicuro e subito capisco che è Lei. La capa, la super Donna, La vera e indiscussa Artista. Proprio come dentro il film “Il Diavolo veste Prada”, la sua aura di eleganza, fascino e stile inondano l’intera sala. Scambia due parole con Sevim. Si volta verso di me. Lei con un colpo d’occhio ha tutto chiaro, sotto controllo. “Gli orecchini, via, la scarpa le è lunga”. Poi una pausa. Un’occhiata da lontano. “Molto bene, si, bella”.

Bruno mi dice che è il massimo che potevamo sperare. Mi dice anche che devo divertirmi, che mi vuole un po’ crazy, un po’ sopra le righe. Non c’è problema Bruno, in quanto a personalità e soprattutto a sfacciataggine, ne ho da vendere. Intreccio le gambe sul tavolino, faccio finta di cadere dalle scale, ogni stravaganza che mi viene in mente, io la improvviso sul momento.

Sevim è invece più austera, ogni tanto le lancio qualche occhiata da vamp che lei immortala nella sua reflex. “Stop here, ok don’t move you are beautiful, ok now try to run down from the steps

E’ il momento dell’ultimo cambio e già sento la malinconia della conclusione che si avvicina. Per gli ultimi scatti Sevim ha scelto il corridoio dell’hotel, immagino di essere una vamp che sta uscendo per una serata all’insegna del suo primo red carpet, immagino di essere la donna più felice del mondo e, forse, in quel momento, lo sono per davvero la donna più felice del mondo. What else needed?

“The card is full” Sevim controlla come al solito gli scatti sul pc e mi guarda soddisfatta. It’s ok, we have finished. Bruno e Alemka accennano un applauso, sono contenti, abbiamo finito addirittura con mezz’ora di anticipo sulla tabella di marcia. Ci abbracciamo sorridenti anche se io sono già malinconica, torno in stanza e mi sfilo il mio meraviglioso abito dorato.

“Vuoi che ti tolga trucco e acconciatura?” Alemka gentile mi offre il suo aiuto. “No Alemka, per favore, lasciami in questo mood almeno sino a stasera”. Domani tornerò ingegnere, ma oggi sono ancora diva, Donna Moderna, o forse, semplicemente, Donna Vera.

Così si è conclusa la mia giornata da diva. Qui infagottata nel mio letto a casa, sono tornata la Fra di sempre, sorrido ai miei occhi gonfi e rossi per il raffreddore. Da cigno sono tornata brutto anatroccolo, però, intrappolata per sempre negli splendidi scatti di Sevim, c’è una Francesca al meglio di sé, quella che, se il tempo me lo concederà, mostrerò con il petto gonfio di orgoglio ai miei nipoti che, distratti da qualche giochino che terranno tra le mani, mi diranno: “Nonna,  eri proprio bellissima”.

P.S. per ora tutto ciò che posso mostrarvi è un back stage…ma appena usciranno le foto ufficiali sul giornale…vi inonderò di scatti!



A grande richiesta…Oktoberfest!

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Questa è la storia di un’avventura. Se già di per se l’Ockoberfest rappresenterebbe una tre giorni degna di racconto, il vero motivo per il quale la nostra trasferta crucca si è trasformata in una avventura coi fiocchi è lui. Il nostro potente mezzo di trasporto. Sì perché essendo noi un equipaggio di 8 persone, si era deciso di affittare un paio di camper. Poi vuoi i prezzi, vuoi il destino, abbiamo finito col affittarne solo uno e prenderne un altro in prestito dallo zio del mio collega. Ora, chi tra voi conosce il mio collega, sa che è un soggetto che meriterebbe un post a parte, ma soprattutto sa che abbiamo fatto un’enorme sciocchezza ad affidarci alle sue stime di bontà sul camper.

Ci ha convinti tutti con la frase: “E’ un po’ vecchiotto ma è un gioiellino”.

Io mi immaginavo lo zio come una sorta di amatore che cura il suo mezzo anno per anno, rinnovandolo ed avendone cura.

La realtà che ci si è posta innanzi la mattina della partenza è stata a dir poco fantozziana. Un ducato del 1983 pieno zeppo di polvere, acari e muffa.

Se prima di vederlo ci scherzavo su, asserendo che saremmo finiti a bere una Corona in un bar del Brennero, non appena visto il catorcio, ero certa che non saremmo arrivati neppure a Pavia. E così è stato.

Il primo guasto è occorso a Tortona, a ben 30 km (su 1500 km che avremmo dovuto percorrere), da Genova.

Se prendere una Corona sul Brennero poteva risultare quantomeno goliardico e poetico, essere bloccati in un elettrauto di Tortona è stato decisamente da sfigati. Mentre mi affannavo al telefono con il 12-40 per cercare un treno che da Milano portasse le persone rimaste a piedi sino a Monaco, fuoriesce il meccanico da dentro il motore, e con un sorriso ci benedice: “Berrete alla mia salute, è solo la cinghia, ripartirete nel giro di mezz’ora”.

Riprendiamo il nostro viaggio con un paio d’ore di ritardo sulla tabella di marcia, siamo carichi e gaudenti per il pericolo scampato e la bella storiella da raccontare al rientro, certo andiamo come lumache, gli altri camper, tutti diretti all’Oktoberfest, ci sorpassano veloci strombazzando in segno di festa: evviva, l’atmosfera di allegria si respira già on the road!

Ora quando si dice che bisogna sempre stare zitti nella vita, un motivo c’è. Non so bene se siamo noi che ci siamo portati sfiga da soli, o se qualcuno lassù era in vena di farsi grasse risate, ma destino ha voluto che, proprio sul Brennero, il maledetto carretto ambulante…si rompesse… di nuovo.

Usciti dall’autostrada abbiamo cominciato un rocambolesco tour per le alpi italo-austriache in cerca di un nuovo elettrauto. Abbiamo attraversato meravigliosi paesini di montagna dove siamo persino arrivati a citofonare in casa di un maledetto crucco meccanico. Peccato che in casa c’era solo la moglie che, pare, (il tedesco lo sa solo il mio collega) abbia detto spazientita che il marito non era in casa e che comunque quando tornava non avrebbe avuto il tempo di aggiustarlo. Già me la vedo, quella avrà avuto i crauti sul fuoco e non avrà voluto far tardi l’ennesima volta a causa del marito.

Così tra tornati, abeti e variopinti paesini siamo arrivati, sempre con la molesta spia rosso fuoco della batteria che illuminava l’abitacolo, sino ad Innsbruck.

Ammetto anche che in questo caso, un pochino ci godevo. Avevo chiesto e scongiurato il mio collega di portarmi ad Innsbruck al ritorno da Monaco e lui mi aveva sempre scansata. Il fatto di dover passare la serata e la notte lì, mi faceva godere alquanto. In spirito assolutamente goliardico ci siamo messi a gironzolare per il centro storico di Innsbruck, con i suoi palazzi dalle facciate arzigogolate ma pur sempre armoniche, i suoi pub e negozietti, le alte montagne che fanno capolino sopra i tetti, ed il fiume, l’Inn, che scorreva veloce e zeppo di acqua tra una sponda e l’altra. Siamo stati fortunati anche nella cena, abbiamo trovato una meravigliosa birreria proprio in centro, l’Augustiner, che consiglio a chiunque passi da Innsbruck. L’atmosfera bavarese, questi grandi locali in legno pieni di persone, wuster e crauti, mi ha affascinata moltissimo. Era davvero divertente trovarsi in una cittadina così graziosa ed in un locale così tipico…per caso! Tutto questo entusiasmo si è smorzato poco dopo, quando ho realizzato che avremmo passato la notte in un parcheggio, senza poter accendere luce né acqua, con il freddo che c’era lì tra i monti. Mi è venuta un po’ in mente l’esperienza che ho vissuto l’anno scorso, ad Andalo, per la finale di Donnavventura. Anche lì tra i monti, anche lì senza acqua, anche lì al gelo.

Fatta pipì nel pub e lavati i denti con la bottiglia d’acqua, ci siamo arrampicati sul letto. Sì perché oltretutto riuscire a salire sul letto in quella trappola mortale era un esercizio degno da ginnasta olimpica. Dovete immaginare che quella fattispecie di letto era niente meno che un soppalchino che dovevi tirare giù dal soffitto e che raggiungeva circa i 30 cm di altezza. Ammesso e non concesso che riuscissi a salire sulla scala, dovevi accucciarti ed entrare di testa. Se non che, per una claustrofobica come me, era di vitale importanza mettere la testa in direzione del buco, ossia del retro del camper. Quindi, una volta conquistato il letto, iniziava una serie di contorsioni ginniche per girarsi testa-piedi. Ovviamente la sequenza era che prima facesse la trafila mio marito, così aveva più spazio per girarsi, e poi io che quindi avevo a disposizione 30 cmt di altezza e 50 cm di larghezza. Una volta conquistata così faticosamente la postazione, dopo quasi 20 ore di viaggio, ci siamo addormentati seduta stante.

All’alba del secondo giorno, quando da programma avremmo dovuto gironzolare per musei monacensi, ci svegliamo tra l’umidità delle valli alpine. Delle persone furbe, a questo punto, avrebbero abbandonato il rottame nel parcheggio ed avrebbero proseguito con un treno per Monaco. Noi no. Abbiamo passato il sabato mattina tra paesini austriaci dimenticati da Dio inseguendo indicazioni di sparuti crucchi incrociati per la strada alle 8 del mattino di Sabato, i quali ci indirizzavano nell’una e nell’altra direzione.

Alle 10 del mattino l’efficienza crucca aveva già trovato una nuova cinghia sostitutiva e ci aveva congedato asserendo che il motivo della seconda rottura fosse da attribuire alla maldestra mano d’opera di montaggio italiana. Con alquanti punti interrogativi fluttuanti sopra le nostre teste ci rimettiamo in marcia non osando superare gli 80km orari. E’ così che, nel primo pomeriggio di Sabato, con esattamente 24 ore di ritardo sulla tabella di marcia, approdiamo al Oktoberfest-Camping, Gate 9 of Messe München. (Vi risparmio le perdite di tempo per aver sbagliato strada e per cercare il merda di bollino delle autostrade austriache).

Chi fosse riuscito ad arrivare sino qui dopo queste lunghissime pagine di viaggio, può star sereno, l’Oktoberfest merita davvero. Ovviamente, con la sfiga che avevamo addosso, non siamo riusciti ad entrare dentro i tendoni la sera di Sabato, ma ci siamo ampiamente rifatti sia all’HB di Monaco, sia l’indomani per pranzo. Chi tra voi non fosse mai stato a questa fiera, deve sapere che è allestita in un enorme parco dentro la città. L’ingresso è libero e si può passeggiare tra luccicanti giostre di ogni tipo e colore, bancarelle variopinte con enormi cuori di cioccolato appesi alle pareti, e queste immense tendone delle varie birre. Una o più per ogni tipologia di birra, la G. ne conserva un boccale per ognuna in cui sia riuscita ad entrare, gliene mancano solo due, vorrà dire che dovrà tornare il prossimo anno e chissà che non la accompagni! Per altro una volta arrivati in fiera ha cominciato a piovere a dirotto, quindi dopo un paio di birre bevute nella terrazza esterna della Spaten , inzuppati come dei pulcini, ci siamo diretti all’HB. L’Hofbräuhaus è una tappa obbligata per chiunque visiti Monaco. È la più antica e celebre birreria di Monaco, che da sola può contenere migliaia di persone su più piani. L’atmosfera, durante l’Oktoberfest, è incredibile. Centinaia di tavolacci in legno ricolmi di boccali da un litro di birra ciascuno, migliaia di persone con vestiti e cappelli tipici bavaresi che bevono, ballano e cantano sulle musiche bavaresi della banda che, in costume tradizionale, suona sul palchetto. Cenare a base di wuster, stinco e pollo tutti appiccicati gli uni agli altri senza barriere di sorta e poi alzarsi tutti in piedi, calici in alto e cantare: “Ein Prosit, ein Prosit, der Gemuetlichkeit, Ein Prosit, ein Prosit, der Gemuetlichkeit, Ein…Zwei…Trei Gsuffer!” non ha prezzo!

Quando poi a notte fonda sono pure riuscita a farmi una doccia calda nel camping assieme a qualche dozzina di altre ragazze tutte ancora cantando e ridendo, ho pensato che la sfiga avesse ormai cambiato direzione.

Siamo pure riusciti, l’indomani mattina, a fare un giro per Monaco, a tornare alla fiera, ed entrare nello stand della Paulaner dove avevamo un ticket per tre litri di birra gratuiti!

Con tutta questa euforia non ho quindi dato peso, appena ripartiti da Monaco in direzione Genova, che effettivamente aveva ripreso quel cigolio ormai noto. (Ormai datemi una cinghia da cambiare ed io riesco ad occhi chiusi). Nonostante la nostra andatura non superasse i 70 kmh, e nonostante avessimo tutti pance gonfie di pipì per fermarci il meno possibile e non sottoporre il motore a sforzi evitabili, dopo quasi 500km, il maledetto ferrovecchio ci lascia nuovamente a piedi, all’altezza di Peschiera.

Quando è troppo è troppo. Ci siamo guardati nelle palle degli occhi. Io su quell’aggeggio indemoniato non ci avrei messo più piede. Erano le 10 di sera, pioveva ed eravamo esausti. Abbiamo, di comune accordo, abbandonato il collega responsabile del weekend infernale a Peschiera ed, uno in treno e gli altri sei sul camper nuovo, siamo tornati a casa, con ben 12 ore di viaggio sulle spalle ed una tre giorni quantomeno impegnativa.

Lo volete sapere il colmo? Il collega, dopo che ha cambiato la quarta cinghia in 3 giorni, sapete cosa ci ha detto? “Se scopriremo che cosa esattamente fa rompere la cinghia, potremmo pensare di  tornare ad Innsbruck a Dicembre per vedere i mercatini di Natale” …. E chi lo conosce bene, sa che non scherza. Dal canto mio, ho messo un impegno ricorrente sull’outlook, fino a Febbraio del prossimo anno risulto impegnatissima.



In partenza…

Hola amigos!

Batterie di foto e video camera sotto carica, guida ed appunti sparpagliati sulla scrivania, trolley spalancato sul letto…ciò significa che sono in partenza per una nuova avventura! Domani arrivano le mie due co-driver ufficiali per il mio prossimo reportage: Michy e Laura, e Venerdì mattina di buon ora si parte per le terre di Siena!

Una tre giorni tra colli senesi, buon vino e buon cibo. Ho anche qualche idea di fuori programma, ma vedremo se il tempo tiranno ce lo permetterà!

Però devo confessare una cosa: in questo momento sono talmente presa con il mio primo lavoro, tra progetti oltralpe ed oltreoceano che mi interessano più di quanto io stessa osi ammettere, che per la prima volta, mi risulta difficile svestire i taillour e indossare i panni della reporter.

Sono però altrettanto certa che, una volta chiuso il pc domani pomeriggio, il mio spirito avventuriero prevarrà, quindi scaldiamo i motori….si parte! 🙂



Ovuli Congelati

L’altra sera ero impegnata in una cena di business: vestitino verde fantasia e tacco 12, mi sono presentata nella terrazza fronte mare proprio sulla cima di uno dei moli del Porto Antico, a Genova. Seduti nella piacevole brezza settembrina, avvolti nell’odore di cibo appena cucinato, iodio e salsedine, si chiacchierava di economia, viaggi e business davanti alle belle barche a vela attraccate a pochi metri da noi.

Tra un gambero ed un bicchiere di vino bianco, non so proprio come, si è iniziato a parlare di figli. Sentitami chiamata in causa, ho dovuto ammettere ancora una volta, anche di fronte a semi-sconosciuti, la totale mia assenza di istinto materno. 30 anni suonati, un matrimonio già vecchio di due anni, e nessuna voglia di ululanti pargoli petulanti.

Uno dei nostri ospiti mi ha guardato serio: “Just freeze your ovules”. Per poco non mi strozzavo con una carota. “I beg your pardon?”. Così lui incalza: “Il vostro paese è troppo cattolico, non si parla a sufficienza di questa che è una reale opportunità per tutte quelle donne come te in cui il desiderio di maternità matura un po’ in ritardo rispetto al normale ciclo biologico”.

Rispetto al normale ciclo biologico? Caspita, questo benedettissimo orologio biologico….una parola in più e già mi vedevo in crisi. Notando che lui insisteva sull’argomento, dopo il momento di smarrimento iniziale, ho tagliato corto sfoggiando un sorriso rassicurante: “Sempre meglio essere ben informati su tutte le opportunità di questa vita, leggerò a tal riguardo per farmi un’idea più precisa”.

La cena è poi corsa via veloce e piacevole e, ben felice di non aver nessuno che mi aspettasse a casa, mi sono avviata con tutta calma al parcheggio. Non ho neppure dovuto render conto a nessuno quando, ancora una volta, ho perso la macchina. Questa è purtroppo una mia peculiarità della quale non vado propriamente fiera. Non c’è speranza che io mi ricordi dove ho parcheggiato. In passato mi è addirittura capitato di andare in un posto in macchina, di tonare a casa a piedi dimenticandomi la macchina in tal posto, e di denunciarne il furto l’indomani mattina non trovandola nel parcheggio sotto casa. Questa mia naturale inclinazione a perdermi la macchina diventa un serio problema quando la posteggio in un silos. Una volta, quando vivevo in America, credo di esserci stata almeno un paio d’ore dentro quel maledetto multipiano. Ero disperata. Per altro la questione è molto più spinosa di quanto non si pensi. Sì perché, a parte il fatto che perdo tempo a cercare la macchina, se passano più di 15 minuti, (ed aimè ne passano anche molti di più), ovviamente scade il ticket di pagamento del parking. Ciò per altro mi capita tipicamente di notte, quando non ci sono guardie alla sbarra, vi risparmio le scene isteriche di me che suono mille citofoni cercando disperatamente di spiegare la situazione, per di più in inglese. *_*  Così anche l’altra sera, prendo l’ascensore, ed entro in crisi. Che piano devo digitare? Ovviamente li ho dovuti ancora una volta girare tutti, ho iniziato a vagare per ogni settore perché sia mai che io abbia un minimo di memoria fotografica, o di senso dell’orientamento. Fortunatamente però, con la mia Fiat16, la vita è molto più facile: avendo la chiusura automatica si sente sia il suono, sia si vedono le luci lampeggiare ed, a parte la figura di una pazza isterica che pigia forsennatamente e ripetutamente sul pulsantino delle chiavi muovendo a radar il braccio teso davanti a me, ho fatto molta meno fatica del solito a ritrovarla!

Pericolo scampato, esco trionfante dal parcheggio con il ticket ancora valido e ridacchio tra me e me pensando che certamente non sono adatta ad avere prole. Poi però mi viene un colpo. Quanto durerà? Cioè quanto durerà questo periodo in cui sono felice e spensierata, in cui tutto sommato sono ancora giovane e carina e soprattutto ho l’indipendenza di fare tutto ciò che mi passa per la testa? Oggi che ho 30 anni già sento che il mio fisico non è più quello che avevo a 20.

Ho più indipendenza, sono una donna più forte da molti punti di vista, ma non quello fisico. E se la voglia di maternità mi saltasse fuori a 40 anni quando magari non sarò più fisicamente adatta a procreare?

Ma voi, un paio di ovuli sotto chiave in freezer, magari con una bella etichetta su di modo da non confonderli con uova di struzzo o caviale, li mettereste?



Nuovo Reportage!

ragazzuoliiiii è stato pubblicato il mio ultimo reportage nel Sulcis…mi date la vostra opinione?

Reportage qui: http://turistipercaso.it/sulcis/66634/off-road-per-il-sulcis-iglesiente.html

Foto qui:
http://turistipercaso.it/u/frarove/?image

Video qui:

Video 1:
http://turistipercaso.it/sulcis/video/700/
Video 2:
http://turistipercaso.it/sulcis/video/701/
Video 3:
http://turistipercaso.it/sulcis/video/702/

🙂



In catamarano, col fratellino

Ho sempre adorato le barche. Tutte. Da quelle piccolissime, i gozzetti che affittavamo da minorenni che, con una manciata di cavalli, ci permettevano di andare in giro per callette solitarie a darci i bacini e fumarci le sigarette, a quelle giganti, le enormi navi per traversate o crociere.

Sì, io adoro anche quelle. Se penso solo a pochi giorni fa, quando sono stata in Sardegna, mi vengono in mente una carrellata di momenti magici che ho vissuto proprio sulla nave. Vedere la mia Genova con tutte le sue lucette allontanarsi lentamente, scorgere moli che non sapevo neppure dell’esistenza, immaginare di essere un gabbiano e sorvolarli tutti, uno ad uno, e scoprire ogni insenatura, ogni nave, ogni verricello. E’ fortissima l’emozione che provo ogni volta che sono in mezzo al mare. Quando in piena notte saluti l’oscurità che ti circonda e ti addormenti nella tua cuccetta, cullata dalle onde. Oppure di giorno, quando seduta al tavolino del ponte alto, sorseggi una birra a bordo piscina inondata dal profumo di salsedine. E’ così che ho scritto il mio reportage nel Sulcis, ma questo lo scoprirete presto, non appena verrà pubblicato.

Ogni tanto vado a prua, e guardo il mare che ho di fronte, sono quelli i momenti in cui progetto il futuro e mi sento energica. Non c’è un viaggio, però, che io non vada a poppa. Il passato lo guardo sempre. Il mio amico antipatico direbbe che sono nostalgica. Quando ti affacci a poppa c’è sempre un vento fortissimo a scompigliarti i capelli, e c’è lei, la lunga scia di bollicine bianche che taglia l’immensità blu del mare. Lenta ed inesorabile. E’ difficile trovare persone in questi due punti. A prua, non ho mai trovato nessuno, a poppa, a volte sì. Al ritorno dalla Sardegna ho fatto pure una conoscenza, un marinaio elbano che aveva appena portato uno yacht di lusso da Portoferraio a Porto Rotondo. Uno a fianco all’altra guardavamo silenziosi l’orizzonte quando lui ruppe il silenzio: “Bell’andatura questa, buon mare. Ieri abbiamo ballato parecchio da queste parti”…

Ma poi la barca per me rappresenta l’estate, la barca rappresenta il mare, le giornate di sole. Attorno a  Genova, sul motoscafino di papà, quando si andava a Bergeggi o a Portofino e si guardavano dal mare le code chilometriche delle povere persone ferme in macchina.

Oppure quando si arriva a Piombino, ogni santissimo Agosto che Dio ha messo su questa terra, la Toremar con la bocca aperta pronta a fagocitarci sancisce il vero inizio delle settimane più belle dell’anno.

Come avrete notato, ho invece, purtroppo, poca esperienza con “le vele” in generale. Sto progettando, per la prossima estate, una vacanza in caicco per rimediare un pochino. Per ora tutta la mia esperienza con le vele si riduce ad un paio di uscite con un amico di papà e con l’ex fidanzato di una mia cara amica. Poi l’amico di papà ha pensato bene di vendere la sua barca a vela, e la mia amica ha pensato bene di cambiare fidanzato. Accidenti a lei. Ancora ricordo con piacere la notte che uscimmo per vedere i fuochi ad Arenzano e che beccammo un vento micidiale e fummo costretti a sederci tutti gambe penzoloni di qua e di là per non scuffiare, la Chiara era di un colorito verde/violaceo con il vomito in canna che credo non sia fuoriuscito solo perché paralizzato anche lui, il vomito, dalla paura. Io ridevo e mi divertivo come una matta, ma quella purtroppo fu l’ultima mia avventura con le vele, la mia amica lasciò il tipo pochi giorni dopo.

L’ultima avventura almeno sino alla scorsa settimana, quando, posso dire senza false modestie, ho avuto il mio vero battesimo della vela…sul catamarano!

Era da qualche giorno che mio fratello si pavoneggiava di aver ripreso confidenza con il mezzo e che ribadiva la sua esperienza bi-annale di corso. (Solo dopo scoprii che l’esperienza risaliva alla sua 3° e 4° superiore e che “ripreso confidenza” significava che era uscito un paio di volte con il catamarano del suo amico…oh my god!).

Ora considerate anche il fatto che mio fratello è più giovane di me di 5 anni. Ciò significa che nella mia psicologia di sorella maggiore, protettiva, sciente, “la grande”, è stato un vero atto di fiducia affidare la mia completa inesperienza nelle sue giovani mani.

Così una sera finalmente ci decidiamo, ci diamo appuntamento l’indomani all’alba, ossia alle 10, che per essere all’Elba è uno sforzo immane, e inforchiamo le biciclette in direzione Iselba, dove avremmo affittato il nostro bolide.

Qui incontriamo un personaggio che avete avuto modo di conoscere ed apprezzare nel post precedente, la Donnavventura padrona del catamarano che ci ha, dapprima, letteralmente terrorizzato, successivamente, almeno per quanto riguarda la sottoscritta, tranquillizzata.

Una volta, non so bene come, accordataci la sua fiducia, ci fa scortare con il pedalò alla boa e ci affida il mezzo. In effetti posso dire che è stata un’esperienza.

Io, appena salita, come al solito, ho perso ogni paura ed ho iniziato a divertirmi come una matta. Mio fratello invece era tutto concentrato. Sulle prime direi anche impensierito, il vento decisamente soffiava verso il largo e l’unica manovra che ci riusciva era la strambata, ma di virare proprio non ne volevamo sapere. In più, quando andavamo di bolina, io non riuscivo a cazzare il fiocco, e mi sono fatta venire le ciocche tenendolo a mano (scoprimmo dopo che in effetti era rotto il gancio). Una volta però preso confidenza con il nostro catamarano, o meglio, lui preso confidenza, ed io capito il momento giusto per lascare il fiocco, ci siamo goduti la nostra navigazione. Ho addirittura preso al volo la boa, al ritorno. In effetti come battesimo c’era davvero tanto vento, per fortuna non soffro il mare, sbalzavamo sui cavalloni!

Così, con i complimenti altisonanti del fratellino che mi ha assicurato essere stata bravissima, e con il sospiro di sollievo di mio marito e di nostro papà una volta che ci hanno visto tornare a casa sani e salvi, si è compiuto il mio battesimo della vela che prometto essere solo l’inizio di un lungo percorso di fede!



Il mio vagabondare

Non vi tedierò con racconti di viaggio che, se vorrete, leggerete non appena pubblicati su Turisti per Caso.

Vi racconterò la mia esperienza tramite le persone che ho incontrato lungo il tragitto.

Primo tra tutti, il signore che ci ha fatto da guida dentro le miniere di Serbariu, nel Sulcis Iglesiente. Altezzoso, arrogante, fascista e decisamente ignorante. Va dicendo ai turisti che le centrali a carbone non inquinano e che il governo farbbe meglio a riaprire il giacimento. Un tempo l’avrei stracciato, i miei nuovi 30 anni hanno fatto sì che non gli dicessi che lavoro nell’energia e che probabilmente in italia sono una delle, diciamo top5000 che ne sanno sull’argomento e che stava dicendo una marea di cagate. La realtà è che mi ha fatto pena. Era proprio assuefatto nelle sue convinzioni. L’ho lasciato nel suo brodo.

Poco oltre, a Buggerru, è arrivato il capitano-lupo-di-mare. Di lui ne parlo anche nel mio reportage. Ci ha accompagnati in barca per un reportage fotografico del litorale. Uomo di mezza età, ha un’esperienza di mare come se di anni ne avesse 150. Ogni scoglio, ogni insenatura è per lui un ricordo, una storia da raccontare. Con la stessa naturalezza mi racconta di quella volta che, lo scorso Gennaio, ha preso una dozzina di kg di orate in quello scoglio laggiù, e di quell’altra volta che, in quell’altra insenatura lì, ha perso il braccio pescando con la dinamite (e da solo è risalito la scogliera ed ha guidato sino all’ospedale con un braccio solo). E’ la vita che va, e lui la racconta così, come si sussegue. Certo è fortina l’antitesi tra lui in mezzo al mare, con un braccio solo, a pescare in una notte di Gennaio e me, avvolta nel piumone, con un libro in mano ed una tisana bollente nello stomaco. In un uomo così, ci si può perdere.

Cambiamo Isola.  Gli ormai noti pizzaioli, sotto casa all’Elba, di fatto accompagnano tutte le nostre vacanze. Casa nostra laggiù ha sempre la porte aperte, praticamente viviamo sul terrazzo: ogni momento è una battuta, un saluto. Sono in due: il pizzaiolo capo è egiziano, è allegro, cordiale, estroverso, ed è appena diventato papà. Gli ho parlato a lungo della condizione in cui ho trovato l’Egitto durante uno dei miei viaggi, lo scorso Marzo. Lui, al contrario mio, è molto fiducioso nei fratelli musulmani. In Sà Hallah, gli ho risposto. Il suo aiuto pizzaiolo, invece, è esattamente il contrario di lui. Napoletano, gentile, timido, schivo, dai sorrisi rubati, fugaci, nascosti. Si dice che sua sorella abbia visto la madonna e da lì qualcosa sia cambiato, ma a me questa storia non l’ha mai raccontata. Non è bello ne brutto, ma a me, è sempre piaciuto. Parecchio.

Prima di riprendere il mio vagabondare per reportage, ecco arrivare una new entry elbana. L’ho incontrata quando ho affittato il catamarano assieme a mio fratello (esperienza che vi racconterò). Lei è una vera Donnavventura, non nel senso che ha partecipato al programma televisivo, (di quelle ne conosco tante e sono tutte a loro modo speciali), ma lei è una DA nella vita. Fisico mozzafiato di chi vive di sport, fa l’istruttrice di vela. Forte come il sole d’Agosto ci ha ben redarguiti sui pericoli e su ciò che potevamo fare e non potevamo fare con il suo catamarano. E quando ci ha guardati storti dicendoci che se ci doveva venire a riprendere avremmo dovuto pagare una penale, mi sono sentita sollevata. Ero certa che qualsiasi cosa fosse successo, lei sarebbe venuta a salvarci.

Poi c’è stato un incontro fugace, a Norcia, un paesino umbro sperduto nei monti sibilini, famoso forse più per i suoi “Coglini di Mulo” (che è un salame con un’anima di bue), piuttosto che per aver dato i natali ad santo fondatore dell’ordine benedettino. L’incontro è avvenuto con un ragazzino. Avrà avuto 15 o 16 anni. In una viuzza sotto la montagna, tutto sudato marcio, risaliva il pendio spingendo la sua vespa rossa nella speranza di farla ripartire. Mi ha ricordato il protagonista del libro che stavo leggendo (Saltatempo), ed ho immaginato che stesse ritardando ad un incontro con la sua ragazza. Che avesse programmato di fare “all’amore” sui prati e che ora, proprio nel momento clou, la sua vespina lo stesse abbandonando. Chissà come avrà fatto, povero leoncino, perchè la vespa di partire proprio non ne ha voluto sapere, e lui l’ha liquidata con due calci ben dati.

Poco distante, a Spoleto, arroccata nella stessa viuzza dalla quale trae il nome, una porticina con su una lanterna da accesso ad un mondo di cibo tutto al femminile. Un po’ come dentro il libro Choccolat. Solo che non è una pasticceria, ma una trattoria.  Donne sono le cameriere, le cuoche e donna è la titolare, che gestisce con la grazia e la forza delle Donne vere con la D maiuscola, il suo microcosmo femminile. Tra un stringozzo al tartufo ed un bicchiere di vino, mi raccontava di come una volta la crescionda fosse cucinata a son di pecorino e brodo di gallina anzichè amaretti e cioccolato.

Come saluto migliore di questo vagabondare, a San Benedetto del Tronto, l’ubriacone del bar ci ha dato le dritte su come arrivare sino su, alla torre, e mi ha fatto una comprensiva compagnia quando ho lasciato il marito alla salita rompigambe. In piazza, ancora a cavallo della mia bicicletta, ho ascoltato interessata la sua versione della crisi economico finanziaria che sta attraversando il nostro paese e le sue stime di calo dell’afflusso turistico a San Benedetto.

Questi i personaggi migliori che mi sono capitati. Questa è l’Italia, ed è davvero il posto più bello del mondo.

 

 

 



Tornata!

Eccomi, sono tornata da un periodo davvero vagabondo.

In queste ferie dal mio primo lavoro, mi sono dedicata completamente al secondo. Ho infatti effettuato due reportage, il primo nel Sulcis Iglesiente ed il secondo un coast to coast tutto italiano, da Tarquinia a San Benedetto del Tronto.

Nel frattempo, ecco quello che avevo redatto a Luglio, sui castelli romani:

http://turistipercaso.it/lazio/66285/un-weekend-su-e-giu-per-i-colli-romani.html

Buona lettura!



Questa è felicità
18/07/2012, 21:02
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Qui seduta sul terrazzo, circondata da un ottimo profumo di brace, legna bruciata e patate già arrostite, mi assaporo la fresca brezza marina della sera.

Questo weekend si preannuncia divertente, con i fratellini a casa dei miei e la mia amica ospite da me, da Torino direttamente sul mio divano letto!

Così continua la mia estate, tra unghie smaltate rosso fuoco e capelli sempre bagnati, tra aperitivi sul mare e l’organizzazione dei miei viaggi come reporter. L’altro giorno, stufa di sole e di chiacchiere, mi sono presa il mio libro e mi sono congedata dal marito-lucertola sdraiato al sole rovente di pieno Luglio. Volutamente non ho preso cellulare, borsa, portafogli. Solo io, il mio cortissimo e svolazzante vestitino rosso, il mio voluminoso cappello bianco ed il mio allegro libro dalla copertina rosa-shocking.

Ho trovato rifugio su una panchina ombrosa vicino al torrente e lì mi sono immersa nella lettura. Il libro raccontava di due ragazze, una la classica riccastra figlia di papà, intelligente e ricercata, ma sempre invidiosa di qualcosa che non ha, l’altra semplice e vera, straniera, importata di forza in un paese non suo. Inutile dire che mi immedesimavo nella prima, sofisticata e “refiosa” diremmo qui a Genova, che è un termine aimè intraducibile. E dire che mi sono sempre definita, non a torto, 80% uomo, però quel 20% di donna che è in me, è prepotente ed onnipresente, anche quando mi sono dovuta rotolare nel fango, anche quando corro sudata marcia, anche quando leggevo all’ombra, su quella panchina, preoccupandomi che tuttosommato il rosa shoking del libro non stonava poi così tanto con il mio vestitino rosso, che in fondo aveva una fantasia floreale sul rosa.

Così, con la mente sgombra ed il cuore leggero, continuo la mia estate che si preannuncia tutta italiana.

Prossimi reportage? Due in Agosto, Sulcis Iglesiente ed Umbria…intervallati da una rilassante settimana di vacanza nella mia adorata isola D’Elba.

Evviva Turisti per Caso, evviva i viaggi, evviva l’estate!



Ora vi spiego il mio post precedente…oppure lo spiego a me…
19/06/2012, 18:44
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Un paio di settimane fa, ancora convalescente dalla mia operazione al naso, mi arriva un sms sul cellulare del lavoro.

“Appena rientri parti per Colonia”.

Per la maggior parte delle persone Colonia non è altro che un acqua dalle proprietà rinfrescanti, per qualcuno è una città tedesca, per me è un doloroso e dolcissimo ricordo.

Non so quante volte, da 18enne, ho immaginato, ho sognato, ho desiderato, questa città.

Ma facciamo un passo indietro.

Estate 1999, isola d’Elba, io e mia cugina Chiara sedute ad un tavolino dopo cena, davanti ad un gelato. Entrarono nel bar due coppie: tutti e quattro bellissimi, alti, magri, biondi, tedeschi.

Li guardammo di sottecchi invidiose, anche noi avremmo voluto essere accompagnate, mentre il nostro status era “decisamente single”. Facendo spallucce affogammo il nostro rammarico nel gelato.

Mattino dopo, ancora io e Chiara, in canoa in mezzo al mare.

Vuoi che ci venga  voglia, proprio in quel momento, di una sigaretta? Eravamo lontane dalla spiaggia ma scorgemmo un paio si persone sugli scogli, che stavano pescando. Decidemmo quindi di tentare la fortuna con loro. Ci avvicinammo e, nostro malgrado, fummo protagoniste delle comiche alla paperissima.  Rimanemmo incagliate in una secca: annaspammo, ci inclinammo, cominciammo a ridere e gridare.. .se non fossero corsi in nostro aiuto, certamente ci saremmo ribaltate. Una volta riconquistato l’equilibrio, ci accorgemmo che non erano due persone qualsiasi: erano due ragazzi, sorridenti, belli, abbronzati, con musica, birra e sigarette tra una canna da pesca e l’altra.

“Hey girls, were you two, yesterday evening, at ruota bar?”

Maledetta sfortuna…erano i ragazzi della sera prima!…ma com’è che si ricordavano proprio di noi? Gli chiedemmo dove avessero lasciato le loro ragazze e Tobias rispose sorridente: “Ah no, that girls are my younger sisters! They are in a apartment with my parents, we two are in a camping near here ….and We are definitely single!”

Così, quel giorno d’estate, conobbi Tobias e Stefan, e non potevo certo sapere, spensierata ed inzuppata come ero quella mattina sulla canoa, che proprio Stefan sarebbe diventato il ragazzo per il quale avrei più sofferto in vita mia.

Rileggo il messaggio del mio capo. Vado a Colonia?! Mi soffio il naso due o tre volte, penso e ripenso, rimugino e poi mi decido, mando un sms a mio cugino Paolo: “Ti ricordi come si chiamavano di cognome Tobias e Rebecca?” La risposta non tarda ad arrivare, sì, se lo ricorda bene, del resto la sua storia con Rebecca era durata ben oltre la mia con Stefan, giusto il tempo di digitare il suo nome su FB ed eccola lì, almeno lei, se non gli altri, l’avevo ritrovata!

Vi chiederete a questo punto chi siano Rebecca e mio cugino Paolo e cosa c’entrino in questa storia mia e di Stefan.

Torniamo all’estate 1999. Dopo la gag sugli scogli, ci demmo appuntamento ad un bar sulla spiaggia, così iniziò la nostra frequentazione. Mi accorsi subito che, istintivamente, trovavo Stefan molto attraente. Come in ogni storia che si rispetti, ovviamente, io ero invece il centro delle attenzioni di Tobias. Questo menage a trois proseguì per parecchi giorni, fino a quando, al telefono con nostro cugino Paolo, io e Chiara gli raccontammo dei nostri nuovi amici tedeschi e delle bellissime sorelle di Tobias. Presto fatto, Paolo prese il primo treno e si precipitò all’Elba, proprio in tempo di prendersi una bella cotta per Rebecca, la maggiore delle tre sorelle di Tobias. Così il menages a trois diventò ben presto un menage a cinque. J

Chiara ripartì dopo una diecina di giorni, ed io con lei. Sarei stata un paio di giorni a Genova per festeggiare il suo compleanno e poi sarei tornata nuovamente all’Elba. In quei giorni genovesi, lontana da Stefan, da Tobias e dal susseguirsi dei pomeriggi roventi e delle serate alcooliche, realizzai quello che già da parecchi giorni mi stava capitando: mi ero innamorata. Ma mi ero innamorata proprio follemente. Con tutta l’Istintività, la genuinità e la passione che avevo dentro di me. Quelle cose da farfalle nello stomaco, da occhi persi nel vuoto. Dentro la mia testa c’era solo lui. Tornai decisa solo di una cosa: mettere in chiaro la situazione.

Ricordo il momento che lo rividi come se fosse accaduto stamattina. Era una giornata nuvolosa e piena di vento. Percorsi tutto il lungomare sino al punto in cui Paolo mi aveva detto che Stefan e Tobias si erano sistemati sulla spiaggia. Allora non c’erano telefonini, SMS, ero con il cuore in gola dalla paura di non trovarli. La spiaggia era semivuota, scorsi due asciugamani, e solo un ragazzo sdraiato. Saranno loro? E se sono loro, quello sdraiato, sarà Tobias o Stefan? Destino volle che quel ragazzo sdraiato fosse proprio Stefan, Tobias era in acqua, a giocare con le onde.

Era assopito, infagottato nel suo asciugamano per ripararsi dal vento, era bellissimo. Mi sedetti vicino a lui e rimasi a guardarlo. Ero estasiata. Mi decisi che non avrei voluto perdere quell’occasione di parlagli da solo, così gli diedi un pizzicotto sul polpaccio. Non seppi valutare al momento se la sua espressione fosse dovuta allo spavento che fosse stato appena morso da un granchio o allo stupore di vedermi. Ci guardammo negli occhi e ci sorridemmo. Mi disse “Tobias è in acqua”. Gli risposi: “Lo saluterò dopo, ora voglio solo stare qui, con te”. Non dimenticherò mai come mi guardò. Era felice. Mi rispose: “Mi sei mancata tantissimo. Non te ne andare mai più”.

Se ripenso ora a quel “non te ne andare mai più”, mi viene ancora il magone. Un giorno di poche settimane dopo, me ne andai, e da quel giorno passarono settimane, mesi, anni, fino a quel messaggio,  da trentenne e sposata. “Vai a Colonia”.

Guardo il profilo FB di Rebecca. Città attuale, Monteral. Tra i suoi contatti nessun Tobias, nessun Stefan. Pochi amici, poche foto. Le sfoglio brevemente. E’ sempre bellissima, suo marito è bellissimo. In una ha il pancione. Non c’è traccia di Stefan ma in una foto riconosco Tobias, non è cambiato per nulla, uguale a tredici anni fa. E’ assieme ad una bimba bionda che avrà 6 o 7 anni, una cuginetta? Una nipote?

Decido di scriverle un messaggio brevissimo, sarà il destino a fare il suo corso. “Ciao Rebecca, come stai? Ti ricordi di me, di Paolo? E Tobias e Stefan? Come stanno? Dammi vostre news”.

Chiudo gli occhi e mi rivedo, giusto un paio di giorni dopo il mio ritorno da Genova, sugli scogli, con in mano “Dubliners” di James Joice. Tobias era in acqua che faceva sub. Stefan raccoglieva ricci sullo scoglio di fronte a me. Ero nervosissima, cuore a mille, rileggevo la stessa riga decine di volte. Ero anche un po’ imbarazzata, quella mattina Stefan mi aveva confidato che lui e Tobias avevano avuto una discussione, e che ora era tutto ok. Cosa poteva significare? Stava parlando di me? Avevano discusso per me?

Poi finalmente lui ruppe il ghiaccio. Si avvicinò a me, si sedette accanto. Non ebbi il coraggio di guardarlo e lui non guardò me. Con gli occhi fissi dritti davanti a se mi disse: “I’m afraid i’m completly fall in love with you”

Non me ne voglia mio marito, o tutti i miei precedenti fidanzatini, quello è stato senza dubbio il bacio più desiderato, più bello ed emozionante di tutta la mia vita. I giorni che vennero dopo quel bacio furono tra i più belli della mia vita. Tra bagni, musica, gite in barca, camminate e bevute sulla spiaggia, al chiaro di luna. Stefan è stato senza dubbio uno degli uomini più importanti della mia vita, per la mia crescita personale ed emotiva, per il mio diventare donna.

Come tutte le favole, però, arriva anche la fine. Eravamo giovani, senza soldi, con i miei genitori assolutamente contrari a quella relazione. Un giorno di fine estate fummo costretti a salutarci, quel giorno decidemmo che non ci saremmo mai scritti, mai più sentiti, a cosa sarebbe servito, se tanto non ci saremmo più potuti vedere? Paolo andò qualche volta a Colonia e trovare Rebecca, la loro storia ebbe un inizio, un proseguo ed una fine. La mia con Stefan è rimasta invece appesa ad un giorno di fine estate, all’Elba, quando ci dicemmo addio.

L’aria odorava di fine estate. Era sera tardi, ma i negozi a Marina di Campo sono aperti anche oltre la mezzanotte. Il nostro tempo stava volgendo al termine. Stefan era strano, irrequieto. “I want a bear”. Entrammo in un piccolo market ai margini del paese. Io mi sentivo distrutta dal dolore, mi sentivo persa. Il proprietario mi guardò con un occhi profondi. Accennò un sorriso sapiente. “Conosco quello sguardo. Sono stato un marinaio, in ogni porto che andavo lasciavo una ragazza con la stessa faccia che hai tu ora”.  Lo odiai. In tutta conseguenza Stefan si prese una bella ciuca. Ci salutammo per l’ultima volta sulla passeggiata, tra il Capriccio e la Lucciola, di fronte al Select. Fu un bacio umido della sua birra e amaro delle mie lacrime. Paolo mi disse che rimase ubriaco per tre giorni di fila. Non gli si poteva neppure avvicinarsi. Io partii per l’Inghilterra, dal letto del mio college sperduto nella campagna inglese, ogni sera, prima di addormentarmi, guardavo il cielo dietro le vetrate della grande finestra della nostra camera, e pensavo a lui. La Vale mi diceva che non aveva mai visto la luna durare tanto in quella posizione, i suoi raggi entravano dritti sino al mio letto e mi illuminavano il volto: quel chiaro di luna era lui, era Stefan, che mi baciava ogni notte.

Ora, chi tra voi è riuscito ad arrivare sino qui, in questo lunghissimo post, si chiederà: sei stata a Colonia? L’hai rivisto? Dopo 13 anni, il destino ha voluto che lo rincontrassi? La risposta è, purtroppo? Per fortuna?  no.

Ho vissuto i miei giorni in trasferta a Colonia in uno stato di eccitazione, felicità, emozione, immersa nei ricordi, e nelle sensazioni che quei ricordi risvegliavano in me. Ero in un bellissimo hotel, proprio di fronte a quella cattedrale tanto maestosa ed imponente che non so quante volte avevo rivisto su internet. Avevo accanto dei colleghi che ora sono diventati amici: Gigi, Elena, erano lì, vicino a me. In ogni persona che mi passava accanto vedevo lui, vedevo Tobias, vedevo Rebecca. Li immaginavo camminare nel lungofiume, bere in un bar. Guardavo le centinaia di lucchetti colorati agganciati sul ponte che attraversa il Reno, simboli di altrettanti amori. Vedevo il volto di Stefan in ogni autista, in ogni standista, operaio, barista. Proprio come nei film, alla sera, aprivo la finestra della mia stanza che dava sui tetti di Colonia e gli auguravo buona notte, da qualche parte, laggiù. Fremevo di incontrarlo ma anche ne avevo timore, avrei potuto rovinarmi, rivedendolo, un ricordo tanto bello e lontano? E se lo avessi rivisto, che effetto mi avrebbe fatto? Come avrei conciliato la mia voglia di lui con il mio status di donna sposata?

Così sono passati i giorni, la trasferta si è conclusa e di Stefan, nessuna traccia.. Seduta sull’aereo, in partenza dall’aeroporto internazionale di colonia verso casa, mi sono sentita triste e vuota, come avrei voluto rimanere altri giorni, settimane intere, lì, in quella città, in quello stato mentale, a cercare il mio grande amore che non ho mai potuto coltivare.

Così, a mezzanotte passata, rientro in casa, a Genova, ho giusto il tempo di disfare i bagagli e rifarne altri per Torino, per il matrimonio della mia amica. Accendo il pc, vado su FB: ho un messaggio da Rebecca. Che destino infame!

Leggo e rileggo, sperando di non aver capito. Tutto è irrimediabilmente cambiato. Mi racconta di lei,  della sua nuova vita a Montreal, delle sue due figlie, mi dice che anche Stefan è papà. Mi deve anche dire che Tobias non c’è più. Quella bella bimba bionda delle foto era sua figlia ed è rimasta senza papà, dopo che lui è rimasto vittima di un incidente in autobus, in Egitto, lo scorso Novembre.

Così capisco che effettivamente l’unico che avrei potuto rivedere a Colonia sarebbe stato proprio Stefan. Il destino ha voluto così. Questa è la vita. A volte le cose cambiano, irrimediabilmente. Questa storia non ha un happy ending, e forse non lo avrebbe potuto avere in ogni caso.